La cultura come cura

Il termine inglese “Welfare” ha il significato di “star bene, benessere”, e, per “estensione”, è diventato indicativo dell’insieme delle politiche sociali attuate dallo Stato nei confronti dei cittadini allo scopo di proteggerli e sostenerli, specialmente durante gli “avvenimenti” della vita che comportano rischi, problemi e disagi; tali politiche sono quindi rivolte particolarmente alle categorie di persone più fragili e bisognose, quali bambini, poveri, disabili e anziani.

Ma cosa s’intende per Welfare “culturale”? Esso non è altro che un nuovo modello di promozione del benessere e della salute delle persone e delle comunità, attraverso specifiche attività culturali, artistiche e creative; nuovo, almeno, in Italia, dal momento che nei paesi scandinavi, nel Regno Unito e in Canada viene sperimentato già da tre decenni. Tale modello è stato riconosciuto    efficace anche dall’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e presuppone la collaborazione integrata tra professionisti di discipline diverse, e cioè quelle appartenenti alle istituzioni sociali e della salute in sinergia con quelle delle istituzioni di arte e di cultura. Le attività culturali diventano così un “fattore:

  1. di promozione della salute […];
  2. di benessere soggettivo e di soddisfazione per la vita […] e potenziamento delle risorse e della capacità di apprendimento;
  3. di contrasto alle disuguaglianze di salute e di coesione sociale […];
  4. d’invecchiamento attivo, contrasto alla depressione e al decadimento psicofisico […];
  5. d’inclusione e di potenziamento delle risorse per persone con disabilità anche gravi o in condizione di svantaggio o marginalizzazione anche estremi (ad esempio senza fissa dimora, detenuti ecc.);
  6. complementare di percorsi terapeutici tradizionali;
  7. di supporto alla relazione medico-paziente, attraverso le “medical humanities” e la trasformazione fisica dei luoghi di cura;
  8. di supporto alla relazione di cura, anche e soprattutto per i “carer” (cioè coloro che si prendono cura) non professionisti;
  9. mitigante e ritardante per alcune condizioni degenerative, come demenze e morbo di Parkinson.”

[dalla definizione della vicepresidente del “Cultural Welfare Center” A. Cicerchia, Al. Rossi Ghiglione, C. Seia, Welfare Culturale, Treccani, Roma 2020]

Alla cultura viene dunque riconosciuto il ruolo fondamentale e “scientificamente” provato di essere un determinante della salute individuale e sociale; fare in modo che ciò si realizzi è uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

“La Cultura come Cura” (di cui si è parlato all’incontro “Welfare è cultura” promosso a Brescia nel Settembre 2023, anno in cui Bergamo e Brescia sono state nominate Capitali della Cultura) non è da intendere però soltanto nel suo aspetto “terapeutico”, ma anche nel suo potere “trasformativo” degli individui e delle comunità: un “potere”, cioè, che consenta loro di uscire dalla propria condizione di fragilità. In questo contesto diventa quanto mai necessaria una nuova formazione del maggior numero possibile di operatori del sociale, che li porti cioè ad un cambiamento “culturale” e di concetto, appunto, spingendoli così a sperimentare nuovi progetti e metodi di lavoro comunitari, incontrandosi e dialogando con gli operatori della cultura.

A questo proposito, l’Italia non presenta attualmente politiche nazionali di Welfare Culturale, bensì soltanto realtà territoriali e reti locali, che hanno realizzato però progetti molto positivi; eccone alcuni esempi tra i più rilevanti:

  • IL “CIRCO SOCIALE” di “Casa Circostanza”, nato nel 2012 nel quartiere Barriera di Milano: esso, ci illustra l’operatrice Giovanna Sfriso, è un centro aggregativo rivolto a persone di tutte le età, e che promuove l’inclusione delle persone in condizione di fragilità, ospitando quindi scuole, gruppi di ragazzi, adolescenti e disabili, e proponendo loro laboratori di circo sociale, allo scopo di “crescere insieme”; ma che si muove anche sul territorio, recandosi esso stesso nelle scuole, in piazze, strade, giardini e nei centri diurni per disabili.
  •  L’ ASSOCIAZIONE “TEDACA’”, una compagnia teatrale fondata nel 2005 a Torino dall’assistente sociale teatrante Si

mone Schinocca: essa ha realizzato lavori incentrati sulla povertà, la migrazione, la discriminazione di genere, i diritti, il carcere e la scuola.

  • LO “SCIROPPO DI TEATRO”: una sperimentazione teatrale ideata da Silvano Antonelli -da 50 anni protagonista del teatro per ragazzi in Italia- partita nel 2021, e che, alla sua terza edizione nel 2023, ha coinvolto 11mila bambini, fra i 3 e gli 11 anni: essi sono stati inviati a teatro, insieme ai loro accompagnatori, con un “voucher-ricetta” prescritto da ben 253 pediatri aderenti all’iniziativa, per un costo di 3 Euro a spettacolo.
  • I MUSEI TOSCANI PER L’ ALZHEIMER: “La regione Toscana ha emanato nel 2019 un decreto in cui riconosce le proposte museali tra le prestazioni previste per la cura e il sostegno familiare nei confronti delle persone con demenza”, ci spiega Chiara Lachi , educatrice museale; dal momento che queste patologie coinvolgono la persona che ne è colpita e la sua famiglia, l’ambiente fisico e relazionale di un luogo rientrante nella categoria di “patrimonio museale” (comprendente musei veri e propri ma anche spazi espositivi, biblioteche, orti botanici ecc.) diventa quindi determinante per la possibilità di mantenere una buona qualità di vita.

In conclusione, penso che dovremmo auspicare che tali esempi, dimostratisi così efficaci, possano continuare ad espandersi nel nostro paese…

Vittoria Montemezzo  

Sono nata nel 1977, ho un diploma di liceo linguistico, mi piacciono i bambini, la natura, la storia e le culture antiche…e l’essere umano in generale. Dal 2015 sono insieme ad un compagno disabile in sedia a rotelle.

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