la Legge 104 compie 30 anni

Sono passati esattamente 30 anni dall’approvazione della legge n. 104 del 5 febbraio 1992, più comunemente nota come Legge 104, la norma che regola l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con disabilità. 

Sino ad allora, infatti, le persone con disabilità in Italia, come nel resto del mondo, continuavano quasi esclusivamente a frequentare le scuole speciali per soli “ handicap”, a lavorare, quei pochi che vi riuscivano, nei “laboratori protetti”  ad invecchiare, se in situazione di gravità nei “centri diurni residenziali per handicap “.

Quando la Legge 104 fu approvata nel 1992, erano già trascorsi ventiquattro anni da quella  formidabile  esplosione di desideri, aspirazioni, rivendicazioni, contestazioni sino ad allora represse o che non avevano avuto fino alla prima metà degli Anni Sessanta  un clima culturale e politico che le avesse potuto far divenire una sensibilità ormai matura nella società. 

La legge 5 febbraio 1992 n. 104, più nota come legge 104/92, è il riferimento legislativo "per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate". Principali destinatari sono dunque i disabili, ma non mancano riferimenti anche a chi vive con loro. Il presupposto è infatti che l'autonomia e l'integrazione sociale si raggiungono garantendo alla persona handicappata e alla famiglia adeguato sostegno. E questo supporto può essere sotto forma di servizi di aiuto personale o familiare, ma si può anche intendere come aiuto psicologico, psicopedagogico, tecnico. Dopo l'entrata in vigore, la legge è stata aggiornata in alcune sue parti, per effetto di norme introdotte in seguito. Art. 2 La presente legge detta i principi dell'ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza della persona handicappata (in questa sede non discuteremo del termine "handicappata").

Nel corso degli ultimi 30 anni, numerose sono state le integrazioni alla legge 104 del 1992. Più di recente, il 20 dicembre 2021 il nostro Senato ha approvato all’unanimità un disegno di legge che delega al Governo il compito di modificare la legislazione. Tale disposizione si inscrive nel solco della Missione 5 “Inclusione e Coesione” del PNRR, che stanzia 19,85 miliardi di euro per le infrastrutture sociali, le famiglie, le comunità e il Terzo settore. L’obiettivo? Rendere protagoniste della propria vita le persone con disabilità, per facilitarne l’inclusione nella società e nel mercato del lavoro.

Cristian Belluzzo

Concrete Onlus

 

COME ROVINARSI LA REPUTAZIONE

Tempo fa mi sono sottoposto ad un intervento chirurgico importante. Il medico era giovane, con un ottima fama, simpatico e ispirava fiducia.

Nel colloquio preliminare mi ha visitato rapidamente individuando subito il problema: “ bisogna operare presto, non si preoccupi faremo in fretta, lei ne avrà un grande beneficio e rimarrà molto contento”.

Io che soffrivo da tempo immemorabile ero già molto contento di quella sua diagnosi positiva che ispirava fiducia e mi metteva di buon umore.

“Quanto le devo dottore? Sono 100 euro – risponde lui -. Ci vediamo tra un mese per l’operazione” Me ne vado contento per la risposta e anche per la rapidità in cui sarei stato operato. La visita era stata privata ma l’intervento sarebbe stato con il servizio sanitario nazionale. Bene visto che pago le tasse, incredibile senza praticamente nessuna lista d’attesa. Tutto a posto anche se c’era qualche cosa che non quadrava completamente.

Faccio l’operazione, tutto si svolge per il meglio, l’assistenza in ospedale è molto buona, il decorso ottimo e nel giro di un mese torno dal mio giovane chirurgo che mi fissa l’appuntamento in pochi giorni. In sala d’aspetto, nell’ospedale dove sono stato operato, ci sono molte persone in attesa; ne conto più di una decina, sono li tutte per lo stesso motivo: farsi visitare dal giovane chirurgo che ispira fiducia, che infonde speranza e che opera così bene.

Arriva presto il mio turno, puntuale come non capita quasi mai; lui guarda le lastre, legge il referto del radiologo, mi dice che tutto procede per il meglio, mi rassicura su alcuni piccoli dolori che ancora sento, mi fai i complimenti per come mi trova, molto più pimpante di prima. Ed è vero, lo devo ringraziare perché l’intervento mi ha ridato entusiasmo per tutta una serie di attività che prima facevo stancamente per via del dolore.

Veramente un medico in gamba, anche simpatico …. una brava persona penso tra me e me. “Quanto le devo dottore? Sono 100 euro come la scorsa volta – risponde lui – “e come la scorsa volta prende il denaro e tutto finisce li. Ah, ecco cosa c’era che non mi tornava, non ha neanche accennato a farmi una ricevuta e io non ho neanche provato a chiederglielo anche se avrei voluto farlo ma non ci sono riuscito. Sono uscito dallo studio pensando e, facendo quattro calcoli mi sono detto “visita due volte alla settimana, ci sono una quindicina di persone vuole dire che si mette in tasca 3000 euro tutte le settimane, che in un mese fa 12000 euro, che in un anno, pensando che vada in ferie un mese, intasca (il termine è proprio giusto!!) 132000 euro tutti in nero!! E il mio pensiero non è andato subito all’evasione fiscale ma all’uomo, al bravo chirurgo che io e tanti altri stimiamo, simpatico, capace e che infonde fiducia, ma che si sputtana perché non fa uno straccio di ricevuta! Ma con tutti soldi che prendi, ma perché ti devi rovinare la fama, il prestigio, la stima di tutte le persone a cui hai fatto del bene, per quattro soldi, visto poi che ne guadagni tanti? E questo pensiero non lo avuto solo io ma tanti altri che come me devono dire grazie a quel medico. Ma il mondo va così, ci si rovina la reputazione per quattro soldi, non si da più importanza al rispetto, al poter tenere la testa alta, al guardarsi negli occhi senza abbassarli.

Peccato dottore, eri un supereroe ma ti sei rovinato per così poco.

Claudio Fontana

Concrete Onlus

Diritto alla disconnessione

Il Diritto alla disconnessione, oggi se ne parla molto sopratutto dopo il lungo periodo di reclusione imposto dalla pandemia che negli ultimi anni ha cambiato radicalmente i nostri ritmi e abitudini nella vita privata e lavorativa. Molte aziende negli ultimi anni si sono rimodulate per fornire strumenti i grado di dare la possibilità ai propri dipendenti di effettuare le proprie mansioni lavorative anche a distanza e quindi limitando la presenza sul luogo di lavoro. Questa svolta però ha creato in molti casi anche delle ripercussioni negative sul lavoratore, che non vanno ad influire positivamente sulla salute. I casi di forte stress sono dovuti principalmente dallo stravolgimento dei normali ritmi lavorativi, alternanza di pausa e lavoro, che vanno ad impattare sulla produttività lavorativa.E’ stato riscontrato che i pericoli sul fronte della salute psichica e fisica sono molto elevati nel breve e lungo termine. Essere liberi di disconnettersi per evitare che vita privata e professionale si mescolino.

L’idea non è nuova, ma con la pandemia ha avuto un’accelerazione. Si procede in ordine sparso: ci sono i Paesi che hanno sancito il diritto di spegnere lo smartphone, quelli che hanno vietato le mail dei superiori e quello che ha suggerito il bon ton della disconnessione.

Cosa dicono le linee guida sullo smart working?

Attualmente L’Italia è uno di pochi paesi in Europa ad aver decretato delle linea guida sul tema, anche se ancora lontani dal poter dire di aver attuato una fase pratica efficiente.

Un primo risultato sul fronte dello smart working era arrivato nel marzo scorso, con il decreto legge 30, in cui viene riconosciuto il diritto alla disconnessione limitatamente alle strumentazioni digitali per l’attività lavorativa in modalità agile, nel rispetto degli accordi già sottoscritti e, per il pubblico impiego, dell’eventuale contrattazione collettiva.

Due i problemi principali per quanto riguarda il nostro Paese: la disconnessione, al momento, non è riconosciuta come diritto universale e la regolamentazione della stessa è rimessa al confronto fra le parti.

Il 13 maggio 2020, il Garante della Privacy ha invocato il diritto alla disconnessione, senza il quale “si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa, annullando così alcune tra le più antiche conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale”.

le problematiche

Il problema principale emerso sul tema della disconessione, in quanto un tema ancora molto generico in italia, è la poca supervisione su come viene messa in atto dalle aziende questa modalità verso i dipendenti. Anche se lo smart working si caratterizza “per l’assenza di un preciso orario di lavoro”, è possibile organizzare “fasce orarie” e individuarne una “di disconnessione”, che va garantita adottando “specifiche misure tecniche e/o organizzative”. Anche perché (particolare non secondario) non si possono percepire straordinari in modalità agile. Il diritto viene esteso alle “assenze legittime”, come malattie, permessi e ferie: “Il lavoratore può disattivare i propri dispositivi di connessione e, in caso di ricezione di comunicazioni aziendali, non è obbligato a prenderle in carico prima della prevista ripresa dell’attività”.

In definitiva, nella consapevolezza dei rischi derivanti da un eccesso di lavoro ed al fine di scongiurare i rischi connessi al superamento dei limiti di durata giornaliera e settimanale della prestazione lavorativa, i quali incidono sulla salute dell’individuo proprio per effetto del possibile sovraccarico di lavoro dovuto all’assenza di controllo (burnout), la legge introduce uno strumento giuridico diretto ad assicurare il rispetto dei tempi di riposo, essenziale soprattutto per le nuove generazioni troppo abituate alla iperconnessione.

Samuele Scafuro

Concrete Onlus