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Vi sarete accorti che mi piace sempre incominciare con un riferimento musicale: “perdono, perdono, perdono…” diceva il ritornello di una canzone di Caterina Caselli degli anni ’60; era lei chiedeva il perdono.

Certamente oggi ci sono molti che dovrebbero chiedere perdono: chi si è dimenticato dei disabili, degli anziani, dei più fragili o al massimo li mette all’ultimo posto; chi tradisce la fiducia degli elettori che l’hanno votato perché portasse avanti un certo programma ed invece non solo il programma non va avanti ma se lo trovano addirittura in un altro partito; perdono in ginocchio da chi non ha ben presente che non c’è nessun merito ad essere nati benestanti, in un paese occidentale, sani e bellocci andandosene in giro tronfio con il petto gonfio girando la testa se qualcuno ha fame, soffre o sbarca sulle nostre spiagge.

Ma non è della “richiesta di perdono” che vi voglio parlare oggi ma dell’”offerta di perdono” che dobbiamo essere sempre pronti a donare, di nostra iniziativa, anche a chi non lo chiede, chi non lo vuole, chi non sa neanche cosa sia. Perché questo perdono che noi offriamo spontaneamente, volontariamente fa bene soprattutto a noi che lo doniamo, ci rasserena, ci fa stare in pace con il mondo, ci fa affrontare le situazioni in una maniera più lucida….. il perdono è la nostra vittoria.

E ancora di più e prima di tutto la capacità di perdonare noi stessi: quante volte non riusciamo ad uscire dal loop di una situazione perché rimuginiamo sul passato, ci diciamo “se non avessi fatto, se non avessi detto…”, e rimaniamo immobili, imbambolati mentre tutto il resto va avanti, si muove e ci lascia indietro.

Se impariamo a perdonare eliminiamo o limitiamo il dolore, fisico e della mente; troviamo l’energia per ricominciare di nuovo, “shocchiamo”, disorientiamo gli altri con il nostro comportamento. Quando tutto sembra perduto in una gara sportiva, disorientare l’avversario è spesso una “buona chance” per ribaltare la situazione o perlomeno di farsi ricordare dal “pubblico”, che sono gli altri nella nostra vita.

Pensiamo all’esempio del Ruanda, un paese distrutto dal genocidio nel 1994, che quasi subito capisce che la soluzione in una situazione così estrema è SOLO IL PERDONO: si elimina quasi subito la pena di morte e dopo 20 anni da questo terribile evento, decide che non ha più senso tenere le persone in prigione, bisogna dar loro una prospettiva e dare un insegnamento a chi ancora poteva provare rancore e voglia di vendetta: APRE LE CARCERI E INVENTA IL PERDONO DI STATO!

E mi stupisco di essere qui adesso a sottolineare una cosa che è così evidente, “lapalissiana”, ma che purtroppo nella mente contraddittoria del genere umano non è ancora riuscita a mettere radici: il perdono ci fa stare meglio, ci fortifica, ci cambia la vita.

E ricordate che il perdono non ha quasi mai una base razionale, un calcolo, anzi se mira ad ottenere qualche cosa negli altri sbaglia il suo obiettivo e rischia di farci avere delle delusioni ancora più forti. Il perdono è irrazionale, istintivo, spontaneo, inarrestabile come l’amore, è un regalo appunto, una cosa che si offre PER-DONO.

E volendo chiudere con un motto, che spesso aiuta a ricordare meglio le cose possiamo dire: NON SANNO COSA PERDONO QUELLI CHE NON CONOSCONO IL PERDONO.

Claudio Fontana

Concrete Onlus

Non siamo più abituati a scrivere. Facciamo fatica a tenere una penna in mano e anche quando usiamo la tastiera, spesso preferiamo “un vocale” alla digitazione di un testo.

Scrivere è però molto importante perché ha una capacità di sintesi e di comprensione che il parlato non ha.

Se vogliamo esprimere una idea, un concetto, complesso o complicato che sia, al quale siamo arrivati dopo lunghe meditazioni, e/o con un improvvisa meditazione, importante è che scriviamo subito un appunto, in modo da non perdere i passaggi di come siamo arrivati a quell’idea; poi con calma la sistemeremo, la ripuliremo, per renderla intellegibile a tutti.

Tante volte ho trovato ridicolo ed eccessivo il fatto che alcune persone prendano appunti in molti momenti della loro vita e invece mi sono dovuto ricredere. Anche se credo ancora che la memoria, finchè funziona, sia il migliore archivio dei nostri ricordi, sono sempre più convinto che la scrittura sia la miglior maniera di fissare i nostri pensieri, soprattutto se vogliamo trasmetterli agli altri, soprattutto se pensiamo possano essere utili agli altri.

Certamente le immagini sono importanti ed evocative e di grande complemento al testo, ma quanti libri sono senza immagini eppure ci hanno fatto stare svegli notti intere per la loro potenza evocativa e descrittiva, mentre quando guardiamo un immagine se ci colpisce profondamente sentiamo il bisogno di commentarla e se il commento è importante vogliamo scrivere il nostro pensiero in merito.

Che grande scoperta è stata la scrittura che ha permesso a popoli, distanti tra loro migliaia di anni e/o migliaia di chilometri di entrare in contatto, di comunicare. NON PERDIAMO QUESTO GRANDE TESORO MA ANZI CERCHIAMO DI VALORIZZARLO SEMPRE DI PIU’