In tutti i musei del mondo è vietato  toccare le opere esposte, ma in questo museo di Varese no. Come mai?

Questo perché all’interno di Villa Baragiola, è stato allestito il Museo Tattile, un modo per permettere alle persone che non ci vedono di conoscere attraverso le mani quello che tutti gli altri conoscono con gli occhi ed un’opportunità di comprensione del mondo, dell’arte, del design per tutti coloro che ci vedono, che possono effettuare la visita bendati.

 Il museo, realizzato dall’Associazione Controluce Onlus su ispirazione dell’Unione Italiana Ciechi, contiene un vasto assortimento di modelli tattili in legno che – quasi si trattasse di un’enciclopedia tridimensionale da sfogliare con le mani – riproducono aspetti del paesaggio, dell’architettura, dall’arte, dell’archeologia, del design.

I modelli tattili hanno una duplice funzione: didattica ed emozionale. Conoscendo attraverso il tatto si scopre un mondo nuovo. 
Oltre ai modelli, il museo ospita percorsi e installazione multisensoriali, capaci di conciliare il divertimento con l’interesse per la sperimentazione. Si tratta di percorsi nei quali il visitatore ha modo di verificare, divertendosi, come i  sensi parlino un linguaggio speciale capace di farci conoscere meglio e più approfonditamente tutti gli aspetti della realtà.

Il museo comprende una serie di Percorsi Tattili tematici:

  • Storia Dell’Architettura
  • Particolari Architettonici
  • Modelli Geografici
  • Modelli Archeologici
  • Guide Tridimensionali
  • Conoscenza Delle Vie D’Acqua E Dei Mulini

Per informazioni su orari di apertura del museo e per prenotare le visite:
http://www.museotattilevarese.it

Articolo a cura di Luisa Cresti

Si parla spesso di di come le liberalizzazioni siano la soluzione per migliorare i servizi, perchè la competizione abbassa i prezzi e miglora i servizi.

Io preferisco parlare di collaborazione, anzichè di competizione, in uno stesso settore, per migiorare e estendere un servizio a quanti più possibile.

Prendiamo come esempio i settori dove noi siamo impegnati: i servizi alle persone disabili, che sono insufficienti in Italia e che possono essere migliorati,  potranno essere sicuramente estesi sia come campo di azione sia come numero di persone che ne potranno beneficiare, se tutte le organizzazioni che si occupano di disabili collaboreranno tra di loro. I professionisti offriranno le prestazioni tecniche e ne garantiranno la continuità, mentre il volontariato completerà il supporto nel tempo libero, lo svago e la vita quotidiana.

Nei trasporti pubblici, dove in questi giorni imperversa la polemica assurda tra Taxi e NCC, basterebbe pensare a come siano diversi i due tipi di servizio e a quanto talvolta si deve aspettare in aeroporto o in stazione per poter salire su uno di questi mezzi, per trovare una soluzione che permetta a tutti di lavorare e al servizio di essere esteso e più soddisfacente.

Il problema è che il “protezionismo” ed il “corporativismo” non sono forme di tutela del lavoro e dei servizi, ma sono forme di egoismo di chi, da una posizione privilegiata, difende lo status quo di maggior favore, disinteressandosi degli altri, lavoratori o utenti non ha importanza.

Quindi, se vogliamo migliorare questa società, proviamo a collaborare invece che litigare, mettendo regole che inducano alla cooperazione e non alla divisione.

Articolo a cura di Claudio Fontana

In quarant’anni di attività con le persone disabili, migliaia sono gli individui con i quali ho avuto a che fare. Disabilità e personalità differenti, con capacità e attitudini le più diverse, ma tutte con delle aspirazioni che volevano essere realizzate.

Anche le famiglie da cui provenivano queste persone sono state molto variegate, con coscienza e aspettative verso i propri figli a volte esagerate, a volte troppo riduttive nel valutare le possibilità di successo.
Nella maggior parte dei casi famiglie che, nonostante le difficoltà oggettive che una disabilità comporta, a volte aggravate dalle ristrettezze economiche, comunque progettavano il futuro dei loro figli e, per quanto possibile, li coinvolgevano in questa operazione.

Mi è capitato però, talvolta, di imbattermi in famiglie che per iperprotezione, senso di colpa ( ma di quale colpa stiamo parlando?), vergogna (ma di che cosa?) hanno negato ai lor figli, perchè disabili, la possibilità di avere, o almeno tentare, una vita piena come tutti gli altri, che significa amicizie, scuola, lavoro, amori, una nuova famiglia propria.
Famiglie soprattutto di estrazione medio-alta, con buone condizioni economiche, che finchè relativamente giovani hanno pensato di potersi sostituire in tutto e per tutto “agli altri”, che hanno tenuto i figli “separati dal mondo”.

Famiglie che, con il passare del tempo non hanno più avuto la forza e la voglia di accudire in maniera totale i propri figli; figli che con il passare del tempo si sono resi conto, impotenti, di quanto la vita fosse passata senza che loro avessero potuto realizzarsi.
In questo panorama che si ripete sempre, a noi che siamo operatori esperti, motivati e preparati su questo tema, il compito di intervenire, appoggiare, stimolare con il dovuto garbo ma anche con forza ed energia, affinche dall’inizo alla fine della sua vita, ognuno possa dire di aver soddisfatto questo DIRITTO AD UNA VITA PIENA … o almeno di averci provato.

Articolo a cura di Claudio Fontana

La Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne è una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999.

L’assemblea dell’ONU ha scelto il 25 novembre come data della ricorrenza e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica in quel giorno, quindi potevamo noi come cooperativa sociale e soprattutto come singoli individui che sperano ogni giorno nel progresso di questa società, rimanere in silenzio?

ASSOLUTAMENTE NO.

NON UNA DI MENO

E’ stata l’ONU a scegliere questa data in ricordo del sacrificio delle sorelle Mirabal, attiviste del Movimento 14 Giugno, un gruppo politico clandestino dominicano che si opponeva alla dittatura di Rafael Leónidas Trujillo ed è proprio in Sud America che nel 2015 è nato il movimento femminista NI UNA MENOS – NON UNA DI MENO che si batte per i diritti delle donne , specialmente contro la violenza che drasticamente si trasforma in femminicidio.

Fortunatamente il campanello d’allarme, per questo problema che esiste sin dalla genesi dell’essere umano, si è acceso, insieme ad esso anche una sirena che giorno dopo giorno diventa sempre più forte.
Nonostante ciò è ancora una grande piaga del nostro secolo, lo dimostrano i media ma anche i dati statistici, ed è proprio su quest’ultimi che dovremmo soffermarci.

NUMERI PREOCCUPANTI

Secondo le indagini Istat risalenti al 2015 moltissime donne sono state vittime nel corso della loro vita vittime di almeno un episodio di violenza, tra le quali il 65% è disabile.
Ancora più recenti e specifici sono i dati dell’indagine VERA (Violence Emergence, Recognition and Awareness): oltre il 60% sono con disabilità motoria, il 17,4% con disabilità plurima, il 12,3% con disabilità sensoriale e l’8,7% con disabilità intellettiva, relazionale, psichiatrica o dell’apprendimento.

Oltre alla paura, alla mancanza di informazione e tutto ciò che può far scaturire un atto così disumano, tra le donne disabili un fattore ancora più delicato è la necessità di assistenza che potrebbe essere affidata ad aguzzini dai quali devono dipendere e la scarsità di centri antiviolenza non sempre preparati a gestire anche l’handicap.
Quindi al grido “NON UNA DI MENO”, incoraggiamo prima di tutto le donne a farsi sentire denunciando il proprio aggressore. Fortunatamente gli enti ai quali rivolgersi sono sempre più affidabili e pronti a gestire
le varie situazioni.

NON SEI SOLA

La realtà più sicura è la Rete D.i.Re, a cui aderiscono centri antiviolenza in tutta Italia. Li si può contattare telefonicamente o recarvisi di persona: sono elencati e collocati su un’apposita pagina web comecitrovi.women.it, con indirizzi, caratteristiche delle associazioni e attività svolte. Si tratta di centri che sono e che lavorano in collaborazione con esso.
Esiste inoltre un’app gratuita che, grazie alla geolocalizzazione, spedisce aiuo immediato tramite informazioni e riferimenti che connettono direttamente con i centri antiviolenza più vicini.
Incoraggiamo anche ognuno di voi, NESSUNO ESCLUSO, a non essere omertosi e ad essere sempre allerta ad ogni possibile grido o silenzio d’aiuto.

“La violenza è un sintomo di impotenza e codardia”.
A.Nin (scrittrice statunitense)

Articolo a cura di Lavinia Fontana