Dalla solitudine alla condivisione

Nasce dalla consapevolezza che la sfida della Casa per le persone fragili, possa essere vinta solo con un lavoro di rete sui territori, in profondo Spirito di servizio reciproco tra le realtà coinvolte .

Il modello di riferimento è un territorio delimitato nello spazio e nella storia locale,

in cui agiscono vari attori dell ’associazionismo  della cooperazione e delle 

fondazioni sviluppando coesione sociale fra i cittadini che vi abitano, con particolare attenzione alle fasce deboli.

Miriamo ad una dimensione che superi i confini territoriali, nel nostro

caso, della città di ROzzano, entrando in una logica di piano di zona visconteo.

Lavorare in rete facilita la rilevazione dei bisogni e la pianificazione delle risposte

possibili , sviluppando collaborazioni fra le realtà dello stesso territorio, limitando “le solitudini” dei cittadini e delle organizzazioni.

Insieme si  trova il coraggio anche di attivare progetti in rete per fasce più

complesse delle fragilità creando sistemi di protezione economico/

organizzativi per la realtà del terzo settore che si candida ad essere referente del progetto.

l’abitare diffuso

Nella rete  si sviluppa  il concetto dell ’albergo diffuso , modello mutuato  dal

settore turistico :

abitare sociale diffuso, in un territorio definito l’offerta abitativa è data da una

rete di residenze non ubicate nello stesso spazio ma collegate fra loro, con

stessi referenti amministrativi e gestionali.

Tale concetto nel mondo della fragilità ci permette di collegare fra loro realtà

abitative differenti (anche con pesi assistenziali diversi ) che si adattano al

progetto di vita degli inquilini  creando economie di scala .

Nell’incontro le realtà trovano il momento di analisi, formazione e riflessione metodologica sui temi legati alla residenzialità e una visione macro dell

’azione, il momento gestionale , progettuale locale, di accoglienza delle famiglie del territorio, di promozione del volontariato .

Le proposte che nascono da questa aggregazione territoriale ,vanno riportate ai

tavoli dei pdz di riferimento, tale raccordo con i pdz è indispensabile per evitare

inutili sprechi di risorse e possibili sovrapposizioni .

“abitare diffuso ” prevede quindi  una solida realtà territoriale di riferimento che

funge da capofila e coordinamento

1 una rete di abitazioni collegate css , microcomunità  rsd   e altro

2   alcune associazioni e coop in ats

3  la definizione di un territorio di riferimento controllabile con spostamenti non superiori ai 20 min  auto .

cosa mettere in rete ?

1 le realtà che gestiscono o che vogliono gestire case su un determinato

territorio

2 l’associazionismo del territorio

3 i gruppi spontanei

4 le famiglie del territorio

5 le agenzie di aggregazione (parrocchie,centri sociali ecc)

6 il pdz

. Per quale territorio ?

indicatori per definire il bacino territoriale :

– appartenenza allo stesso pdz o a pdz limitrofi

–  valutazione della rete viaria e dei trasporti che possa permettere

   una facilità di spostamenti

– un diametro del territorio non superiore ai km 10

– una centrale operativa di coordinamento :

non è una sede solo fisica ma  anche virtuale

(centrale perchè punto di riferimento della rete del territorio coordinamento    

delle risorse sui servizi, definitore di accordi di collaborazione e utilizzo del

personale e delle risorse necessarie all’assistenza, fra le varie realtà della rete.

**un esempio: sarà la centrale che definito un bisogno casa individuerà la risorsa

di rete più vicina a cui chiedere l’invio del personale a domicilio, questo per i casi delle persone che vivono da sole , invio che proviene dalla residenza più vicina

al domicilio

I punti di forza

economie di scala

miglioramento delle capacità di collaborazione della rete

maggior senso di sicurezza degli ospiti che vivono soli

comunicazione più incisiva della rete sul territorio

attuazione di un sistema della residenzialità territoriale

-formazione e reperimento del personale

queste funzioni vengono svolte dal punto di coordinamento per tutta la rete con

attenzione al benessere sia degli ospiti che dei lavoratori

-Trasporti

creazione d un servizio unico di trasporti sul territorio

Volontari

reperimento e formazione

Guido De Vecchi

Tutti noi dobbiamo smetterla di far finta di non vedere, di girarci dall’altra parte o, peggio ancora, di nasconderci dietro le norme e la burocrazia per evitare d’impegnarci ad aiutaci vicendevolmente e giustificare il nostro lassismo e disimpegno.

Se questo è un impegno che deve valere per tutti i cittadini nel quotidiano, tanto più lo deve essere per lo Stato e per chi lo rappresenta. Lo Stato e i suoi rappresentanti – lo sono il Presidente della repubblica ma anche l’addetto allo sportello dell’Agenzia delle Entrate – hanno un ruolo fondamentale d’esempio nel loro comportamento e diventano il modello per tutti noi, purtroppo sia nel bene che nel male.

Perché dobbiamo ancora ascoltare frasi come: “…. Sono stato all’ufficio postale e l’impiegato è stato veramente gentile e disponibile …”; non dovrebbe essere questa la norma? Invece spesso, oltre all’indisponibilità e alla “ruvidità” dell’addetto, dobbiamo sentirci risposte come: “E io che ci posso fare? Non le faccio io le regole.

Dovremmo essere tutti disponibili a spiegare, a trovare soluzioni, a comprendere le ragioni dell’altro ma tanto più lo dovrebbero essere coloro i quali sono addetti a dei servizi ai quali, in un modo o nell’altri, tutti dobbiamo accedere: non possiamo fare a meno di pagare le tasse o di fare la dichiarazione dei redditi, se vogliamo pagare un bollettino ci dobbiamo recare all’ufficio postale, se non stiamo bene dobbiamo andare dal medico.

E allora non possiamo più sentirci rispondere lei ha sbagliato senza una spiegazione ed un aiuto a correggere il nostro errore, oppure se vuole essere visitato c’è una lista d’attesa … ma se paga e viene privatamente c’è posto subito.

E dire che noi abbiamo già pagato! Abbiamo pagato per la salute, abbiamo pagato per l’efficienza, abbiamo pagato con le nostre tasse, dirette e indirette, anche per avere un servizio attento, gentile, disponibile.

Non possiamo più sentirci dire alla visita parenti in un ospedale “ oggi però non è il giorno in cui si può portare la biancheria pulita, torni un latra volta..”, oppure dall’ALER “… la persona e residente qui ma a noi non risulta inserita nel contratto e quindi anche se è disabile in carrozzina non autorizziamo, anzi blocchiamo l’installazione del monta scale ..” e quindi la persona rimane segregata in casa solo perché l’impiegato non entra nel merito, non fa nulla per affrontare e risolvere il problema , in poche parole se ne lava le mani.

Dobbiamo smetterla di disinteressarci degli altri e, quando c’imbattiamo in queste situazioni dobbiamo protestare e con pazienza far ragionare le persone, in modo che le cose cambino.

Claudio Fontana

Concrete Onlus

la Legge 104 compie 30 anni

Sono passati esattamente 30 anni dall’approvazione della legge n. 104 del 5 febbraio 1992, più comunemente nota come Legge 104, la norma che regola l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con disabilità. 

Sino ad allora, infatti, le persone con disabilità in Italia, come nel resto del mondo, continuavano quasi esclusivamente a frequentare le scuole speciali per soli “ handicap”, a lavorare, quei pochi che vi riuscivano, nei “laboratori protetti”  ad invecchiare, se in situazione di gravità nei “centri diurni residenziali per handicap “.

Quando la Legge 104 fu approvata nel 1992, erano già trascorsi ventiquattro anni da quella  formidabile  esplosione di desideri, aspirazioni, rivendicazioni, contestazioni sino ad allora represse o che non avevano avuto fino alla prima metà degli Anni Sessanta  un clima culturale e politico che le avesse potuto far divenire una sensibilità ormai matura nella società. 

La legge 5 febbraio 1992 n. 104, più nota come legge 104/92, è il riferimento legislativo "per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate". Principali destinatari sono dunque i disabili, ma non mancano riferimenti anche a chi vive con loro. Il presupposto è infatti che l'autonomia e l'integrazione sociale si raggiungono garantendo alla persona handicappata e alla famiglia adeguato sostegno. E questo supporto può essere sotto forma di servizi di aiuto personale o familiare, ma si può anche intendere come aiuto psicologico, psicopedagogico, tecnico. Dopo l'entrata in vigore, la legge è stata aggiornata in alcune sue parti, per effetto di norme introdotte in seguito. Art. 2 La presente legge detta i principi dell'ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza della persona handicappata (in questa sede non discuteremo del termine "handicappata").

Nel corso degli ultimi 30 anni, numerose sono state le integrazioni alla legge 104 del 1992. Più di recente, il 20 dicembre 2021 il nostro Senato ha approvato all’unanimità un disegno di legge che delega al Governo il compito di modificare la legislazione. Tale disposizione si inscrive nel solco della Missione 5 “Inclusione e Coesione” del PNRR, che stanzia 19,85 miliardi di euro per le infrastrutture sociali, le famiglie, le comunità e il Terzo settore. L’obiettivo? Rendere protagoniste della propria vita le persone con disabilità, per facilitarne l’inclusione nella società e nel mercato del lavoro.

Cristian Belluzzo

Concrete Onlus

 

COME ROVINARSI LA REPUTAZIONE

Tempo fa mi sono sottoposto ad un intervento chirurgico importante. Il medico era giovane, con un ottima fama, simpatico e ispirava fiducia.

Nel colloquio preliminare mi ha visitato rapidamente individuando subito il problema: “ bisogna operare presto, non si preoccupi faremo in fretta, lei ne avrà un grande beneficio e rimarrà molto contento”.

Io che soffrivo da tempo immemorabile ero già molto contento di quella sua diagnosi positiva che ispirava fiducia e mi metteva di buon umore.

“Quanto le devo dottore? Sono 100 euro – risponde lui -. Ci vediamo tra un mese per l’operazione” Me ne vado contento per la risposta e anche per la rapidità in cui sarei stato operato. La visita era stata privata ma l’intervento sarebbe stato con il servizio sanitario nazionale. Bene visto che pago le tasse, incredibile senza praticamente nessuna lista d’attesa. Tutto a posto anche se c’era qualche cosa che non quadrava completamente.

Faccio l’operazione, tutto si svolge per il meglio, l’assistenza in ospedale è molto buona, il decorso ottimo e nel giro di un mese torno dal mio giovane chirurgo che mi fissa l’appuntamento in pochi giorni. In sala d’aspetto, nell’ospedale dove sono stato operato, ci sono molte persone in attesa; ne conto più di una decina, sono li tutte per lo stesso motivo: farsi visitare dal giovane chirurgo che ispira fiducia, che infonde speranza e che opera così bene.

Arriva presto il mio turno, puntuale come non capita quasi mai; lui guarda le lastre, legge il referto del radiologo, mi dice che tutto procede per il meglio, mi rassicura su alcuni piccoli dolori che ancora sento, mi fai i complimenti per come mi trova, molto più pimpante di prima. Ed è vero, lo devo ringraziare perché l’intervento mi ha ridato entusiasmo per tutta una serie di attività che prima facevo stancamente per via del dolore.

Veramente un medico in gamba, anche simpatico …. una brava persona penso tra me e me. “Quanto le devo dottore? Sono 100 euro come la scorsa volta – risponde lui – “e come la scorsa volta prende il denaro e tutto finisce li. Ah, ecco cosa c’era che non mi tornava, non ha neanche accennato a farmi una ricevuta e io non ho neanche provato a chiederglielo anche se avrei voluto farlo ma non ci sono riuscito. Sono uscito dallo studio pensando e, facendo quattro calcoli mi sono detto “visita due volte alla settimana, ci sono una quindicina di persone vuole dire che si mette in tasca 3000 euro tutte le settimane, che in un mese fa 12000 euro, che in un anno, pensando che vada in ferie un mese, intasca (il termine è proprio giusto!!) 132000 euro tutti in nero!! E il mio pensiero non è andato subito all’evasione fiscale ma all’uomo, al bravo chirurgo che io e tanti altri stimiamo, simpatico, capace e che infonde fiducia, ma che si sputtana perché non fa uno straccio di ricevuta! Ma con tutti soldi che prendi, ma perché ti devi rovinare la fama, il prestigio, la stima di tutte le persone a cui hai fatto del bene, per quattro soldi, visto poi che ne guadagni tanti? E questo pensiero non lo avuto solo io ma tanti altri che come me devono dire grazie a quel medico. Ma il mondo va così, ci si rovina la reputazione per quattro soldi, non si da più importanza al rispetto, al poter tenere la testa alta, al guardarsi negli occhi senza abbassarli.

Peccato dottore, eri un supereroe ma ti sei rovinato per così poco.

Claudio Fontana

Concrete Onlus

Diritto alla disconnessione

Il Diritto alla disconnessione, oggi se ne parla molto sopratutto dopo il lungo periodo di reclusione imposto dalla pandemia che negli ultimi anni ha cambiato radicalmente i nostri ritmi e abitudini nella vita privata e lavorativa. Molte aziende negli ultimi anni si sono rimodulate per fornire strumenti i grado di dare la possibilità ai propri dipendenti di effettuare le proprie mansioni lavorative anche a distanza e quindi limitando la presenza sul luogo di lavoro. Questa svolta però ha creato in molti casi anche delle ripercussioni negative sul lavoratore, che non vanno ad influire positivamente sulla salute. I casi di forte stress sono dovuti principalmente dallo stravolgimento dei normali ritmi lavorativi, alternanza di pausa e lavoro, che vanno ad impattare sulla produttività lavorativa.E’ stato riscontrato che i pericoli sul fronte della salute psichica e fisica sono molto elevati nel breve e lungo termine. Essere liberi di disconnettersi per evitare che vita privata e professionale si mescolino.

L’idea non è nuova, ma con la pandemia ha avuto un’accelerazione. Si procede in ordine sparso: ci sono i Paesi che hanno sancito il diritto di spegnere lo smartphone, quelli che hanno vietato le mail dei superiori e quello che ha suggerito il bon ton della disconnessione.

Cosa dicono le linee guida sullo smart working?

Attualmente L’Italia è uno di pochi paesi in Europa ad aver decretato delle linea guida sul tema, anche se ancora lontani dal poter dire di aver attuato una fase pratica efficiente.

Un primo risultato sul fronte dello smart working era arrivato nel marzo scorso, con il decreto legge 30, in cui viene riconosciuto il diritto alla disconnessione limitatamente alle strumentazioni digitali per l’attività lavorativa in modalità agile, nel rispetto degli accordi già sottoscritti e, per il pubblico impiego, dell’eventuale contrattazione collettiva.

Due i problemi principali per quanto riguarda il nostro Paese: la disconnessione, al momento, non è riconosciuta come diritto universale e la regolamentazione della stessa è rimessa al confronto fra le parti.

Il 13 maggio 2020, il Garante della Privacy ha invocato il diritto alla disconnessione, senza il quale “si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa, annullando così alcune tra le più antiche conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale”.

le problematiche

Il problema principale emerso sul tema della disconessione, in quanto un tema ancora molto generico in italia, è la poca supervisione su come viene messa in atto dalle aziende questa modalità verso i dipendenti. Anche se lo smart working si caratterizza “per l’assenza di un preciso orario di lavoro”, è possibile organizzare “fasce orarie” e individuarne una “di disconnessione”, che va garantita adottando “specifiche misure tecniche e/o organizzative”. Anche perché (particolare non secondario) non si possono percepire straordinari in modalità agile. Il diritto viene esteso alle “assenze legittime”, come malattie, permessi e ferie: “Il lavoratore può disattivare i propri dispositivi di connessione e, in caso di ricezione di comunicazioni aziendali, non è obbligato a prenderle in carico prima della prevista ripresa dell’attività”.

In definitiva, nella consapevolezza dei rischi derivanti da un eccesso di lavoro ed al fine di scongiurare i rischi connessi al superamento dei limiti di durata giornaliera e settimanale della prestazione lavorativa, i quali incidono sulla salute dell’individuo proprio per effetto del possibile sovraccarico di lavoro dovuto all’assenza di controllo (burnout), la legge introduce uno strumento giuridico diretto ad assicurare il rispetto dei tempi di riposo, essenziale soprattutto per le nuove generazioni troppo abituate alla iperconnessione.

Samuele Scafuro

Concrete Onlus