Quando ero bambino, negli anni ’60, le Case di Riposo – ospizi a quei tempi – erano poche, di piccole dimensioni tranne casi eccezionali nelle grandi città, e soprattutto integrate nel contesto urbano.

Non era difficle vedere anziani che ad una certa ora uscivano dalla casa di riposo per andare al bar, passare il tempo con altre persone e ritornare per il pranzo o la cena.

Si trattava di una forma di vita assistita che alcuni sceglievano, ancorchè autossuficienti, per non vivere isolati ed avere una mano a gestire la propria vita quotidiana.

Quei tempi sono passati e dalla fine degli anni ’80, qui in Lombardia soprattutto, i politici hanno pensato di inventarsi il “business delle case di riposo”, dicendo che erano necessarie, che con l’invecchiamento della popolazione bisognava farsi trovare preparati e così hanno “regalato” finanziamenti, terreni, autorizzazioni al settore privato, ad imprenditori che spesso di tutto si occupavano tranne che di servizi socio sanitari.

E così le case di riposo si sono moltiplicate, costruite spesso in luoghi periferici e “irraggiugibili” e quando l’offerta aumenta, se non si vuole “fallire” bisogna incentivare la domanda. Così è stato: molte persone che avrebbero potutto continuare a vivere a casa loro o “adottate” da altre famiglie sono state “dirottate” nelle case di riposo – dove “dirottamento” è inteso in senso piratesco e terroristico – . Se ancora erano autosufficienti o quasi, sono state costrette a vivere una vita super assistita e quindi a diventare non-autosufficienti.

In statistica si parla di “speranza di vita” per indicare quanti anni in media una persona può avere davanti a se nelle diverse fasi della sua vita, ma per questi anziani “costretti” alla Casa di Riposo, l’orizzonte si è drasticamente accorciato diventando una “attesa di morte”.

Anche a questo ci dobbiamo ribellare, non accettandolo come uno “status quo”, in prima persona con il nostro impegno di cittadini, di familiari di persone anziane e per chi, operatore del settore, cercando di incentivare servizi diversi dalla soluzione semplice, sbrigativa e lucrosa della casa di riposo di massa così come è oggi concepita.

Articolo a cura di Claudio Fontana

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Vi riportiamo alcuni estratti da un interessante articolo originariamente pubblicato sul sito Open:

Secondo uno studio dell’Istituto Mario Negri di Milano, i calciatori professionisti si ammalano due volte di più della popolazione generale. Per chi gioca in serie A il rischio è ancora più alto. Il professore Ettore Beghi ha spiegato a Open quali sono le cause.

In media, i calciatori professionisti si ammalano di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) due volte di più rispetto alla popolazione generale e 6 volte di più per quanto riguarda i calciatori di serie A. Lo dimostra uno studio epidemiologico, condotto dai ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano e presentato al meeting annuale dell’American Academy of Neurology, in svolgimento negli Usa, a Philadelphia.

Il dottor Ettore Beghi, responsabile del Laboratorio di Malattie Neurologiche dell’Istituto Mario Negri, ha spiegato a Open come è stato condotto lo studio e quali potrebbero essere le cause dei risultati a cui sono giunti i ricercatori.

«Abbiamo creato quella che chiamiamo tecnicamente “una corte” di ex calciatori, andando a ricostruire le loro carriere, consultando gli album della Panini, vedendo quanti di questi soggetti avessero poi sviluppato la Sla e confrontandoli con persone che non avevano praticato il calcio, che erano il resto della popolazione. Facendo questo abbiamo visto che il rischio per gli ex calciatori è doppio.

L’informazione più importante che abbiamo ricavato è che se ad ammalarsi di Sla è un ex calciatore, questa persona si ammala molto prima di quella che è l’età abituale di insorgenza della malattia. Con un divario che è di circa di vent’anni. A questo punto noi abbiamo dedotto che essendo la Sla una malattia che risulta da un inseme di fattori, alcuni genetici (quindi una predisposizione) e altri esterni, ci siamo fatti l’idea che in soggetti predisposti (che erano quelli che si sono ammalati di Sla fra gli ex calciatori) il calcio abbia in qualche modo non solo creato un maggior rischio, ma un’anticipazione dell’esordio dei sintomi». 

L’entità del rischio (doppio, triplo, quadruplo) è comunque da rapportare alla rarità della malattia. Cosa vuol dire? Che se una persona, per caso, si ammala di Sla, il suo rischio e di due/tre casi per centomila persone ogni anno: questo è il valore che emerge dagli studi di incidenza. Con un rischio doppio, triplo o quadruplo, si va a raddoppiare o triplicare questo numero. Quindi si sale a quattro su centomila o sei su centomila. C’è un rischio, ma si rimane sempre nell’ambito di una probabilità abbastanza bassa di insorgenza della malattia. Perché nella Serie A sia così alto rispetto alle altre serie non glielo so dire. 

Il calcio può comportare un danno ai motoneuroni sostanzialmente per tre motivi:

1) la ripetività dei traumi, in particolare dei traumi cranici. C’è un grosso dibattito negli Stati Uniti per quanto riguarda il Football americano e l’importanza degli eventi traumatici nel determinare quella che viene chiamata encefalopatia traumatica. Noi stessi, in un passato recente, abbiamo dimostrato, confrontando ammalati di Sla e una popolazione di controllo, che chi si ammala di Sla riporta nella nostra anamnesi una storia di traumatismi di una certa importanza, e di traumatismi multipli, più frequente rispetto a un soggetto che non si è ammalato di Sla. Quindi i traumi, se ripetuti e se cranici, potrebbero rappresentare un fattore di rischio.

2) c’è poi molta discussione nella nostra letteratura scientifica su quanto importi un esercizio fisico molto, molto spinto. Qui i dati sono un po’ più controversi. Ci sono studi che hanno fatto vedere che l’esercizio fisico è un fattore di rischio, altri invece, come uno studio fatto da noi, che sembra essere protettivo. Noi stessi abbiamo dimostrato che l’esercizio fisico nella popolazione fa bene, ma in un soggetto che poi si ammala di Sla rappresenta un fattore di anticipazione dei sintomi. Ed è quello che abbiamo visto nel nostro studio. 

3) un terzo fattore – su cui però esiste ancora molta discussione e non ci sono molte prove – è l’utilizzo di farmaci antinfiammatori. Si è visto che alcuni di questi farmaci hanno delle molecole che sono simili a diserbanti e sono utilizzati sui campi di calcio, che sono a loro volta dannosi per i moto neuroni. Anche questo potrebbe essere un fattore da considerare, anche se, come le dicevo, l’evidenza scientifica che sta dietro non è particolarmente forte. 

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Non ci sono elementi per poter dire che il doping sia una delle cause. Se però intendiamo anche l’assunzione di sostanze che servono a irrobustire la muscolatura, come gli aminoacidi ramificati, qualcosa si è visto. Noi, tanti anni fa, abbiamo fatto uno studio in cui abbiamo voluto vedere che effetti avesse sulla malattia l’uso di queste sostanze, sulla base di uno studio precedente che aveva visto che questi aminoacidi ramificati sembravano essere utili nel rallentare la progressione della malattia.

In realtà abbiamo dovuto sospendere lo studio perché nel braccio dei pazienti che assumevano gli aminoacidi si era visto che la mortalità era maggiore. Non sappiamo se la causa fossero gli aminoacidi o qualche atro fattore di cui non avevamo tenuto conto però questo è un motivo di riflessione per dire che gli aminoacidi potrebbero magari in qualche modo, in soggetti predisposti, anticipare l’esordio della malattia.

Anche l’Alzheimer avrebbe nella patologia traumatica un fattore di rischio. Per cui, Parkinson e Alzheimer sono malattie che hanno degli elementi in comune – il processo degenerativo del sistema nervoso – andando a studiare un’esposizione a traumi, un’esposizione all’esercizio fisico strenua e vedere che questo si accompagna, non solo a una più precoce insorgenza di Sla, ma anche a un aumentato del rischio per queste altre patologie, per noi è un grosso risultato perché ci aiuta a capire meglio il meccanismo di queste malattie.» 

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Nonostante la nostra penisola possa vantare di molti festival del cinema di alto prestigio, tutto ciò che viene da Hollywood ha sempre un fascino diverso. Probabilmente i nostri  nottambuli sono riusciti a seguire la 91esima cerimonia dei tanto amati premi Oscar alle 3 del mattino del 24 Febbraio, ma si sa, non è necessario seguirli dal vivo perchè tanto per una settimana diventano l’argomento più discusso nel mondo, è uno di quei momenti nel quale all’improvviso per 7 giorni su 365 diventiamo tutti cinefili e grandi esperiti di cinema.

Gli Academy Awards, non sono solo un momento importante per una specifica categoria, sono anche un evento sociale usato spesso per sensibilizzare gli spettatori di diverse tematiche sociali, tra le quali anche la disabilità.

L’attore Warwick Davies.

La disabilità, in tutte le sue sfaccettature quindi, ha avuto molto spazio nella storia del cinema e abbiamo anche visto molti film con questa tematica trionfare e anche attori vincere il premio più prestigioso dello scenario cinematografico per il ruolo “diverso” che hanno ricoperto, come le leggendarie interpretazioni di Tom Hanks in “Forrest Gump” e “Philadelhia”, il tenero ed inaffidabile Dustin Hoffman in “Rain Man – L’uomo della pioggia” e Daniel Day-Lewis ne “ Il mio piede sinistro”, personaggio reale che cerca di vincere la propria disabilità con uno scopo artistico.

In “Quasi Amici” (2011), abbiamo un personaggio tetraplegico interpretato da un attore non disabile.

Però potrebbe sorgerci spontanea la domanda “ Come mai questi ruoli non sono interpretati da disabili veri?”, ovviamente avere una risposta vera e propria non sarebbe semplice e sopratutto il rischio sarebbe quello di cadere nell’ibrido “politically correct” , quindi il nostro scopo è quello di riflettere sul ruolo dei disabili veri, quelli che presentano delle inabilità anche quando si spegne la luce dalla cinepresa, nel mondo del cinema.

Hollywood, Bollywood e Cinecittà non sono ancora del tutto pronti a questa emergente categoria di nuovi attori, però fortunatamente qualcuno sta iniziando a rubare la scena di qualche riflettore.

– Articolo a cura di Lavinia Fontana

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Il Comitato Uniti Per L’Autismo ha lanciato una petizione sul portale Change.org per chiedere alla regione Lombardia una migliore legislazione in merito al sostegno delle famiglie nelle quali c’è un minore affetto da autismo.

Inoltre, pare che ultimamente la Regione Lombardia abbia attuato dei cambiamenti sulle norme di Non Autosufficienza per i disabili, andando a modificare la misura B1. Ciò significa dei pesanti tagli al budget destinato al sostegno delle famiglie di minori disabili, con una diminuzione da 1000€ mese a 600€ nel caso in cui frequentino la scuola. 

Autism Awareness Ribbon

Vi riportiamo il testo dell’aggiornamento sulla petizione scritto dal Comitato “Uniti Per L’Autismo”:

Abbiamo avuto una sgradita sorpresa da Regione Lombardia sui cambiamenti in merito alle misure di Non Autosufficienza per i disabili gravissimi per il 2019 per quanto riguarda la misura B1.

Quello che non abbiamo apprezzato, e lo abbiamo fatto notare in sede di presentazione, è la diminuzione della misura B1 per i minori disabili gravissimi da 1000€ mese a 600€ nel caso in cui frequentino la scuola. 
Siccome in larga parte , vivaddio, i bambini autistici anche gravi e gravissimi (Livello 3 – DSM V) vanno tutti a scuola riteniamo che questo provvedimento sia iniquo.
Pensiamo che i nostri figli abbiano un diritto allo studio e riteniamo la frequentazione di scuole pubbliche ed inclusive un diritto assoluto che non può essere considerato una discriminante per tagliare i contributi dovuti.


Ci auguriamo che vi sia una reale presa in carico in futuro ancora lontana a venire, visto che la legge 15/2016 è ancora inattuata e auspichiamo che almeno le misure di sostegno indirette non siano ridotte al lumicino.


Riproponiamo con maggiore forza la petizione affinché a tutte le persone con disabilità siano riconosciuti i diritti previsti dalle Leggi Internazionali, nazionali e regionali.

Articolo a cura di Luisa Cresti

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Caro amico di Concrete Onlus,

Sapevi che le persone disabili non autosufficienti possono usufruire di trasporto gratuito scuola?
Nel 1971 la legge 118 recita quanto segue all’articolo 28:

(Provvedimenti per la frequenza scolastica).

Ai mutilati e invalidi civili che non siano autosufficienti e che frequentino la scuola dello obbligo o i corsi di addestramento professionale finanziati dallo Stato vengono assicurati: a) il trasporto gratuito dalla propria abitazione alla sede della scuola o del corso e viceversa, a carico dei patronati scolastici o dei consorzi dei patronati scolastici o degli enti gestori dei corsi;[ecc…]
Sarà facilitata, inoltre, la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie superiori ed universitarie. Le stesse disposizioni valgono per le istituzioni prescolastiche e per i doposcuola.

La Corte costituzionale, con Sentenza 3 giugno 1987, n. 215 (G.U. 17 giugno 1987, n. 25 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente terzo comma, nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori di handicaps, prevede che “Sarà facilitata”, anziché disporre che “È assicurata” la frequenza alle scuole medie superiori. Il comma è stato abrogato dall’art. 43, L. 5 febbraio 1992, n. 104.

Studiare è luce; non studiare è oscurità. (Proverbio russo )

…e tutti hanno diritto a vivere la “luce” nella propria vita.

Contatta subito Concrete per poter organizzare con la tua scuola ed il tuo Comune il trasporto a scuola più accessibile a te!

Contatta il nostro centralino via email o telefono:
info@concreteonlus.org 

+ 39 3924113619 tutti i giorni H 9:00 – 20:30

Articolo a cura di Lucio Fontana